domenica 30 novembre 2008

Il piatto piange


Questo è un post triste. La foto ne è forse la testimonianza migliore. Un piatto vuoto.
Stavolta non vi racconterò di spezie e ingredienti. Cercherò di essere meno polemica possibile. Non ci saranno ricette per voi.
Stranamente questa volta il potere terapeutico della cucina non mi ha giovato.
La foto in alto non è scattata con la mia digitale: durante lo scorso weekend, ho attraversato diversi stati d'animo e l'immagine che meglio li rappresenta è un piatto vuoto, quello che mi auguro avesse di fronte a sè ogni giorno il ladro che, entrandomi in casa sabato, mi ha rubato portatile, digitale e ricordi. Praticamente il materiale di cui è fatto questo blog.
La povertà di un piatto vuoto mi aiuterebbe a non serbare rancore.








venerdì 21 novembre 2008

Chicco...di grano

Sono viziata. Non consumo grandi quantità di pane e mi piace croccante. Poco ma buono.
Però sono pigra e non mangiandolo ogni giorno, mi ritrovo a sognarlo tutte le volte (e accade spesso) che dimentico di acquistarlo. E quando lo acquisto, mi capita di mangiare altro e così ho dovuto sviluppare una tecnica di riciclo del pane.
Devo ammettere certo che nell'ultimo anno, l'aumento del prezzo del pane è stato comunque un deterrente all'acquisto quotidiano.( A proposito di questo, date un'occhiata al link qua sotto).
Il mio rapporto col pane è un rapporto di quelli che durano da anni e che per fortuna è uno degli eterni (fatto di alti e bassi) che posso annoverare tra le mie esperienze "sentimentali".
Una specie di eterno fidanzato (e non innamorato, attenzione....) o marito.
Però con lui faccio di tutto. Provate anche voi: con il pane si può davvero fare tutto.
Lo adoro nei ripieni, perchè si può condire con un sacco di spezie rendendo ricco anche un piatto povero.
La ricetta di oggi riguarda i peperoni ripieni, o quelli che in calabrese si chiamano "pipi chini".
Bastano un paio di fette di pane raffermo, del latte, aglio, sale , pepe, prezzemolo, pecorino e tutto quello che avete nel frigo (tipo salamino, prosciutto, scamorza affumicata...).
Mi sa che è ora di cucinare, se no nei peperoni vi faccio mettere anche vostra nonna, che se è cicciottella come nella migliore delle tradizioni, ci sta da paura!


http://arezzo.blogolandia.it/2008/12/04/gruppo-di-acquisto-popolare-pane-a-1-eurokg-a-saione/

giovedì 20 novembre 2008

Il cucchiaio intelligente

Farsi domande potrebbe essere il mio mestiere. Perché non mi accontento. Cerco risposte. E la mia testa diventa un affollarsi di input infelici che quando non si trasformano in output felici, si risolvono in aspirine sciolte nell’acqua (che frizzano pure, rendendo talvolta amplificato il mal di testa da sovraesposizione).
Leggo della fantastica invenzione del “cucchiaio intelligente”: un prototipo di cucchiaio in grado di stabilire il giusto grado di sapidità del cibo, l’equilibrio tra acidità e altro, forse anche la temperatura.
Mi chiedo: ne ho bisogno? So che tante invenzioni inizialmente strambe sono nate dallo stesso interrogativo e poi diventate, ahimè, insostituibili (perché ora non me ne viene in mente nessuna?).
Così provo ad immaginarne le situazioni d’uso.
Cucina di un ristorante Tre Stelle Michelin: lo Chef o il suo vice, assembla gli ingredienti per una portata che il cliente in sala attende trepidante…basi, cottura: ok.
Ancora in padella (o pentola, o forno,o abbattitore o quello che vi pare)….il piatto è lasciato quasi a sé, gli si butta solo qualche occhiata perché non muoia di solitudine, tanto l’ultima parola sarà del cucchiaio intelligente!
Vedo già una rivoluzione nella brigata di cucina: accanto ai classici ruoli, nei prossimi annunci di lavoro ci sarà scritto “con almeno tre anni di esperienza nell’uso del C.I.”.
Sarà il sous chef ad usarlo? È qualcosa che può fare anche il lavapiatti?
inventeremo pentole di riflesso intelligenti perché dotate del suddetto cucchiaio?
Insomma, l’uso ci chiarirà le idee.
La mis en place è a posto. Il piatto arriva sul tavolo del cliente (esigente perchè disposto a sborsare 80 euro per quel piatto). Ansia. Il cliente ne valuta l’aspetto. Non si fa ingannare come una volta dai profumi che il cibo gli racconta: è come se avesse perduto l’intelligenza dei suoi sensi e questa si fosse trasferita nel cucchiaio, di cui da buon critico è naturalmente anch’egli dotato.
Lo estrae dall’apposita custodia.
Per la prima volta sente di possedere un reale, scientifico metodo di valutazione del cibo.
Inserisce il cucchiaio nel piatto e….all’improvviso un allarme delicato, ma persistente si materializza nelle sue orecchie (il cibo da consumatore non coinvolge anche questo senso, che nel frattempo, causa perdita dei suoi fratelli, si sarà perfezionato e avrà ampliato le sue capacità).
Le mandibole del runner, rimasto fino ad allora accanto al tavolo, in attesa di valutare la giustezza del piatto, inevitabilmente si contrarranno e la sua voce si preparerà ad assumere quel tono di scuse confacenti la situazione.
In cucina nel frattempo, udito quel suono, si ricomincerà da capo a preparare lo stesso piatto probabilmente ritarando il cucchiaio o semplicemente facendolo volare nella pattumiera (dopo avergli dato chiaramente dello “stupido”).

La "cucchiarella" stupida


Ora, un paio di domande: chi si occuperà di tarare i cucchiai? Chi stabilirà la giusta temperatura di consumo di un cibo?
Perché accade che ciò che per me è molto caldo o freddo, per qualcuno è semplicemente piacevole?
Esiste un filone culinario che vede validi chef affermare la presenza costante della chimica in cucina: credo di aver ribadito più volte in modi differenti che l’eccesso di scientificità in un piatto mi sembra lo privi della poesia dei sensi, dell’ingenuità che siano solo i sensi a stabilire come “deve esser fatto”.
So che non è così. Non può essere così. Accade lo stesso per il vino. Perché ci aspettiamo che quel piatto mangiato una volta e impresso nei nostri ricordi, abbia sempre lo stesso sapore. Lo vogliamo così.
Lo sappiamo o no che ciò che viene dalla terra, dalla stessa terra, usato sempre nella stessa quantità per creare un piatto, può cambiare? Risentire di una raccolta sfortunata, di un’annata in cui ha piovuto di più o di meno e il sole è stato poco o troppo generoso.
Guardiamolo il cibo, annusiamolo, cerchiamo di riprodurlo simile ai nostri ricordi sensibili, ma con la consapevolezza che le condizioni di produzione spesso cambiano. Usiamo gli occhi ma non ne facciamo uno strumento di valutazione solo estetica quando scegliamo i cibi.
Annusiamoli, prima e dopo la cottura e sorprendiamoci davanti alla scoperta di quanto muti il loro sapore.
Adoperiamo anche le orecchie per riconoscere la musicalità di un ragù che bolle, di un aglio che soffrigge con una nota diversa dalla cipolla.
E nel preparare un piatto, lasciamo da parte il cucchiaio intelligente e fidiamoci della vecchia, fedele, stupida, “cucchiarella” di legno dal manico bruciacchiato.