domenica 5 dicembre 2010

Il lato erotico di un ragù


Il cibo è legato indissolubilmente all'erotismo.
Sarà perchè quando cucino e mangio, adopero gli stessi sensi che uso quando faccio l'amore.
Fare l'amore si sa, è diverso che fare sesso. Fare sesso è cucinare un sugo finto, di quelli che butti in una pentola il pomodoro, magari dopo un soffritto veloce di aglio, aggiungi sale e qualche spezia che sai che può servire.
E mangi, così come fai sesso: ti serve in quel momento per nutrirti.
Per smettere di avere fame. Per convincerti di sentirti meno sola. E il gusto dell'aglio distratto e un pò forte sta a ricordarti che ti sei accontentata.
Ma la fame vera e il piacere vero, non li plachi sul serio.
Così come la solitudine.
Fare l'amore è diverso.
Usi la cipolla che si addolcisce soffrigendo. Ci metti accanto la carota e il sedano. Li lasci rumoreggiare nel fondo di burro e olio lentamente, come si procede con i preliminari anche quando sei affamata dell'altro. Dopo pochi minuti aggiungi la pancetta e la lasci rosolare: già a questo punto assaggi la passione.
Li senti salire subito quegli aromi che si confondono, così come fa il tuo odore con quello di Lui.
Aggiungi carne macinata in tempi diversi e sposti la parte soffritta da un lato perchè le altre soffriggano senza lessare. Così come fai con il suo corpo: ne tocchi una parte, poi l'altra perchè siano tutte ricettive.
Ti soffermi su un angolo che ti piace e quello è il momento di aggiungere il vino che lasci evaporare versandolo sui lati della pentola.
Senti il suo respiro cambiare intensità e arricchisci tutto di noce moscata.
E' il momento del latte.
Il latte lo aggiungi per dare una morbidezza che altrimenti non avresti: come certi abbracci che hanno la forza della passione e la dolcezza dell'amore insieme.
E mentre lo tieni stretto, perchè tutto non sia troppo dolce, condisci con sale e pepe.
Questo è il momento di affogare il tutto col pomodoro caldo diluito nel brodo.
Fare l'amore ha i suoi tempi, perchè dell'altro non ti sazi mai.
Il ragù espressione del far l'amore, va cotto lentamente.
La fame va assecondata con i profumi che solo una cottura lenta può sprigionare.
Bisogna che si cucini in grosse quantità che magari lo congeli per quando ne hai voglia ma ti mancano gli ingredienti. E non ti va di accontentarti di un sugo finto e decidi che sì, stavolta ripieghi sull' autoerotismo.

N.b. se ti senti più femmina che mai, prima della carne macinata, soffriggi un fegatino di pollo che ci sta come ci starebbe la giarrettiera che tieni nel cassetto.

Ingredienti

20 gr di burro

mezza cipolla bianca

un gambo di sedano

una carota

50 gr di pancetta

500 gr di manzo tritato

2 bicchieri di latte

500 gr di pelati passati

2 bicchieri di brodo

sale

pepe































mercoledì 3 novembre 2010

Romagna mia


Modena per me è una cuccia. Ci andavo nei week end quando dal Veneto volevo solo fuggire.
Un nord troppo nord, una nebbia troppo nebbia: quel muovermi in giù mi dava l'idea di poter rubare un pò di quel Sud che mi mancava troppo, senza dover affrontare viaggi che un Frecciarossa ancora da inventare rendeva estenuanti e il tempo a disposizione sempre troppo poco.
C'era la stessa nebbia, è vero, ma il calore lo sentivo. Sempre. Sentivo un rumore di fondo sotto quella nebbia: le risate e l' allegria di una regione che sembra, con la sua geografia un limite, un valico, un cuscinetto oltre il quale sai di dover lasciare quel calore.
Modena è il bar Schiavoni con i suoi irripetibili panini, che mentre fai la fila per averne uno, puoi fare un giro tra i colori del mercato là accanto. Quello che ti aspetta è un percorso del gusto in un solo morso: cotechino, crema di zucca, uvetta, aceto balsamico.
Modena è città di silenzi, di sapori testardi che non si lasciano imbastardire dagli usi di chi da queste parti ci è venuto 40 o 50 anni fa.
Modena è un Nord pieno di gente del Sud, che con piacere quei sapori li ha accolti e imparati.
Così Peppina, pugliese d'origine ma modenese di lontana adozione, prepara l'impasto de IL GNOCCO (che si dice proprio così), mettendoci un goccio di grappa che, dice lei, "toglie quell'unto". Ancora mi chiedo quale unto, essendo il gnocco fritto nello strutto...e mentre ti racconta in modenese gli ingredienti (che sono sempre quelli e che però ognuno ha i propri) ecco là che le esce uno svarione barese: "perchè uno i segreti, li deve dire nella sua lingua".










lunedì 20 settembre 2010

Io sto col sughero! (breve dichiarazione amorosa)




Le relazioni sono roba complicata. Mi sa che io non ci so fare troppo. Ci vuole innanzitutto pazienza, mi dicono amici esperti che su cotanto tema potrebbero scrivere interi volumi.
La cosa più divertente al solito è che tutti quelli che sono pieni di buoni consigli e teorie, di relazioni non ne hanno uno straccio.
Però sono sempre pronti a dirti la loro: oltre alla pazienza, al coraggio, alla capacità di mettersi in gioco, alla capacità di ascoltare l'altro, a quella di saper attendere, ci vogliono (mi pare) un sacco di altri ingredienti.
Facendo poi un rapido excursus sulle loro situazioni relazionali attuali, mi accorgo che ognuno ne ha una differente, ma quasi tutti sono accomunati dall'avere sicuramente una relazione complicata con se stessi. E se è vero che "chi si somiglia, si piglia", la considerazione suddetta spetterebbe anche a me.
Stamattina però, un sospiro di sollievo: apro un giornale e scopro il mio ideale.
Non mi sarei mai aspettata una simile soluzione: ho guardato bene la copertina del settimanale per essere certa di non sfogliare uno di quei book che una volta ho visto sfogliare in una agenzia matrimoniale, uno di quelli in cui ci sono una serie di personaggi che si candidano a diventare l'uomo/la donna della tua vita e corredano il loro profilo di caratteristiche meravigliose, dopo la lettura delle quali almeno tre cose ti vengono in mente:
1)come mai se sei così figo/a non hai una relazione e te ne cerchi una qua?
2)sei stato finora sfortunato, perchè dovrei essere io ad invertire questa rotta?
3)sei uno/a fantastico bugiardo/a. E qua può darsi tu guadagni in simpatia, ma la stima, caro mio, è ben altro...
"io sto col sughero". Il claim della campagna mi ha rapito. Anche io voglio stare col sughero, mi sono detta.
Dove lo trovo uno che trattiene l'ossigeno (quindi non è irascibile, ergo ci pensa prima di parlare), che è elastico (mi piace l'apertura mentale), che ti chiude ermeticamente a sè (adoro essere abbracciata!) conservandoti come qualcosa di prezioso, ma che non si sbriciola (diventando melenso e insopportabile) nè scompone?
In più scopro che è italiano e il mio patriottismo ormai è noto: l'Italia è al terzo posto per la produzione di sughero. Questo vuol dire che ce n'è, ma che bisogna sostenerne la produzione.
Io intanto corro a dirlo ad un paio di amiche e nel mentre, che ne dite....fisso un appuntamento?

http://www.ilsughero.org/



martedì 10 agosto 2010

Norma (h)a la fregola (...e non è la sola)

Essere un'isola. Avere accanto il tuo mare. Decidere d'accordo col Lui, se restare da sola o accogliere chi decide di venire a farti visita. Suggerirgli di muoversi violento, affinchè la tua sia una terra irraggiungibile.
Non deve essere male, la vita da isola. Bisogna fare i conti con la nostalgia e con i tempi che non sempre corrispondono a quelli del mare.Passare ore a guardare il mare mentre si confonde con quella linea che sembra finire e arrivare al cielo, mentre i tuoi sono solo confini terreni.
I miei pensieri isolani sono frutto di una vacanza sarda.
La Sardegna è una terra strana: la guardi e non sai mai davvero se voglia accoglierti. Piena di lembi di terra pronti a immergersi nel mare, a scomparire per evitare di farsi notare. Una terra che per imparare a difendersi, ha eretto torrette su ogni costa, manifestando un desiderio di solitudine che cogli anche negli occhi schivi di chi ci abita e vede il Continente qualcosa di lontano. La Sardegna vuole bastare a se stessa.
La Sicilia è diversa: è terra vicina, aperta, cresciuta tra mille influenze visibili in un territorio che ti racconta la storia di mille passaggi di soli e mari. La guardi e hai già fatto un piccolo viaggio intorno al mondo: architetture varie di popoli a cui la Sicilia ha offerto un luogo dove vivere. Senza chiedere per quanto tempo perchè non soffre di sindrome di abbandono. Riesce ad avere legami che non pretende siano durevoli: si prende il buono di tutti.


Io non lo so che isola vorrei essere. Nell'indecisione, le ho confuse.
Che poi è la cosa che mi viene meglio.


Ricetta per 4 persone

300 gr di fregola
3 pomodori maturi
mezza cipolla
una melanzana tonda e grossa
tre tazze di brodo vegetale
olio evo
sale
pepe nero da macinare
basilico
rosmarino
crema di ricotta salata
vino bianco
4 dischi di pane carasau (guttiau)

Ritagliate otto dischi dalla melanzana ed il resto in cubetti piccoli. Poneteli dentro uno scolapasta con del sale perchè perdano la loro acqua.Tagliate sempre a cubetti piccoli i pomodori tenedoli separati. Affettate la cipolla e mettetela in una padella con i bordi alti insieme ad almeno tre cucchiai di olio. Soffriggetela e quando imbruinisce, aggiungete la fregola e fatela tostare. Versate del vino bianco e lasciate evaporare a fuoco lento. Aggiungete una tazza di brodo e poi i pomodori. Lasciate cuocere.
Scaldate una padella antiaderente, metteteci dentro gli aghi di rosmarino (che è la spezia sarda per eccellenza) e grigliate i dischi di melanzane e poi i cubetti. In un'altra scaldate l'olio e friggete dischi e cubetti di melanzana.Lasciateli asciugare su un foglio da cucina e salateli poco.Nel frattempo avrete aggiunto il brodo alla fregola perchè si cuoccia.
Aggiungete un paio di foglie di basilico a metà cottura.
Quando la fregola è al dente, toglietela dal fuoco e aggiungete i cubetti di melanzana con del basilico fresco spezzettato e pepe macinato. Mescolate delicatamente e lasciate raffreddare un pò.
In forno, mettete i dischi di pane carasau cosparsi di olio e lasciateli scurire per 5 minuti. Estraeteli dal forno, spezzettateli a forma di isola, e componeteli sui piatti da portata. Aggiungete ancora olio e macinatevi sopra del pepe macinato.Prendete un disco di melanzana, ponetevi sopra la fregola e chiudete con un altro disco sul quale porrete ciuffetti di basilico.
Formate delle piccole quenelle di ricotta salata, utili anche a completare la decorazione del piatto e a "zittire" la fregola di norma.

lunedì 14 giugno 2010

Rumore di fritto rivoluzionario a mezzo stampa



Scegliere di parlare e raccontare i fatti di cronaca, di vita, di politica.
C'è un tessuto sociale fatto di uomini con un cervello pensante, con una libertà di parola che nel tempo, attraverso la storia, ci siamo conquistati o che fortunatamente (come nel mio caso), abbiamo avuto in dono.
Quella libertà è un assunto imprescindibile, perchè legata alla scelta: io l'ho avuta e adoperata quasi senza farci caso, senza mai però averne messo in dubbio l'importanza.
E quando non ho parlato, ho scelto il silenzio.
Non mi è stato mai imposto.
Nessuno finora mi ha detto di tacere.
E con ciò non voglio dire che finora abbia detto solo cose sensate.
Sono pronta a giurare il contrario, piuttosto.
Ma ho scelto.
Quella scelta da un pò di tempo la sento vacillare, perdere i confini, scomparire.
E le parole che vorrei dire diventano rabbia.
Ora mentre scrivo questo post, mi chiedo per quanto ancora potrò godere della stessa libertà di espressione.
Per quanto tempo potrò ancora leggere i giornali? e quali e quanti? potrò godere della pluralità di una informazione che mi dia la certezza di essere un essere umano libero?
Che succederà a quei fogli in parte già soppiantati dal web?
il silenzio è qualcosa che si sceglie.
La non informazione è qualcosa che ci impongono.
Il silenzio stampa è una scelta.
La stampa silenziosa è dittatura.
Dedico la mia ricetta rumorosa di fritto in cartoccio a chi di quella libertà ci vuole privare, incosciente rispetto al fatto che privare qualcuno di qualcosa non fa che aumentare il desiderio di riconquistarlo.



Ricetta per zucchine in tempura per 1
(perchè la libertà è prima di tutto un diritto del singolo)

cubetti di ghiaccio
100 gr di farina + 20, 30 gr
100 ml di acqua
un uovo (eh, si..ce l'ho messo!)
una zucchina di dimensioni medie
sale
olio extravergine di oliva


In una ciotola mescolate acqua e uovo, sale e versate la farina setacciandola in modo da evitare la formazione di grumi e aiutandovi con una frusta.Mettete la pastella nel frigo, lasciatela risposare e raffreddare almeno mezzora(utile allo shock termico).Tagliate nel senso della lunghezza la zucchina, ricavatene dei bastoncini non troppo spessi, nè troppo sottili. Togliete dal freezer il ghiaccio in cubetti che vi servirà mentre friggete a mantenere fredda la pastella.Quanto più la tenete fredda, tanto più sarà croccante. Scaldate l'olio in una padella con i bordi alti e ascoltate il rumore dell'olio alla prova di un pò di pastella.Se quello che sentite assomiglia al rumore della libertà, buttate nella ciotola qualche bastoncino di zucchina e con l'aiuto di un cucchiaio, tuffatelo nell'olio. Ogni volta che adoperate il ghiaccio, ricordate di aggiungere farina alla pastella per evitare che diventi troppo liquida. Salate i bastoncini e gustate liberamente.

domenica 6 giugno 2010

Occhi di cioccolato



Nella vita si incontrano un milione di occhi.
Alcuni puoi guardarli più a lungo perchè il tempo è generoso con te ma spesso ciò che resta è solo familiarità.
Altri ti sfuggono e la fatica di leggervi dentro diventa insormontabile.
Così desiti.
Ci sono invece occhi che dopo averli afferrati, si tengono saldi ai tuoi e alla tua anima così tanto che guardarsi diventa parlarsi perchè l'aria che passa tra le tue parole e le parole di quegli occhi è così poca che ti sembra di soffocare.
Occhi dai quali è difficile togliere i tuoi perchè nel loro color cioccolato ascolti quello che vorresti dire tu.
Ma resti muta.
Quegli occhi color cioccolato ti fondono l'anima.
Ti lasciano credere che esista un unico colore: il loro, fatto della profondità del cacao e della dolcezza del latte.
Occhi che sanno di Africa (anche se in Africa non ci sei mai stata).
Occhi che ti portano in viaggio sopra le dune, tra la sabbia, nel sole che ti acceca e ti brucia.
Occhi attraverso i quali catturare il vento.
Occhi nei quali impari a leggere una lingua che non conosci perchè è la ricca lingua del silenzio.
Quelli sono occhi buoni da mangiare.

Ricetta di cioccolato

100 gr di cacao amaro
50 gr di noci sgusciate
50 di nocciole sgusciate
4 uova intere
100 gr di burro
un pizzico di vanillina
70 gr di farina
100 gr di zucchero
una bustina di lievito in polvere

Tritate noci e nocciole. Mescolate le uova e lo zucchero lentamente. Aggiungete la farina a filo e continuate a mescolare. Fate lo stesso con il cacao.
Sciogliete il burro a bagnomaria e versatelo nel composto.
Versate la bustina di lievito e la vanillina mescolando velocemente. Accendete il forno a 180 °.
Imburrate e infarinate una teglia rettangolare. Versate il composto nella teglia e infilatela nel forno abbassando la temperatura a 160°.
Annusate.
Dopo circa venti minuti controllate la cottura.
Sfornate la torta e lasciatela raffreddare.
Continuate ad annusare. Magari tenendo gli occhi chiusi.
Tagliate in piccoli cubi il dolce e assaporate quegli occhi.



domenica 21 marzo 2010

The D-Day after



Che quelli di Dissapore sapessero farci, era chiaro.
Ma riguardo i loro poteri, per mancanza di esperienza pregressa, non avevo idea.
Sabato è stato uno di quei giorni in cui hanno apparecchiato il cielo come una tavola su cui una tovaglia bianca è stata perfettamente sistemata e attende curiosa di avere su di sè piatti da esaltare.
Non nego di aver avuto un pò di ansia da prestazione: pensavo di ritrovarmi al classico evento enogastronomico "siamo fighi e contenti di avere la puzza sotto il naso"..
invece scopro persone che esperte sono davvero, che hanno davvero il piacere di mettere insieme gente che condivide una passione.
L'Open è una delle mie location romane preferite: è un posto pieno di luce che ti viene voglia, entrandoci, di fare un grosso respiro e portarti via l'aria buona che c'è.
Di buono chiaramente non c'è solo l'aria.
La cucina di Colonna è una cucina educata, sottovoce, che sussurra affascinandoti e che ti fa sentire le sue ragioni, ma senza gridarle.
E' una cucina di sapori come note appena accennate che rendono un sottofondo potente.
Colonna è un compositore che suona la sua musica scegliendo ingredienti come strumenti.
Anni di esperienza, milioni di concerti.
Accanto a lui, o meglio, dietro (ma non in ordine di importanza) c'è chi quegli strumenti li accorda.
Gabriele Bonci è un accordatore. Lui quegli strumenti li ascolta, prima dei concerti. Ci gira intorno per capire qual è l'acustica migliore.
E' uno a cui non piace il palco.
Piace il concerto da dietro le quinte.
Lui con le mani parla e sembra che impasti: se ti distrai un attimo, puoi vedergli ruotare tra le mani un impasto tanto soffice che sopra, come fa, può metterci qualunque ingrediente e renderti la leggerezza e la poesia di un sorriso.

N.B. uno special thank per un giorno di riabilitazione allo Staff di Dissapore, a Gabriele Bonci e a Colonna.

Un ringraziamento davvero particolare va ai "ragazzi di Colonna" per la pazienza e la professionalità e per aver resistito all'attacco di una comunità di veri affamati.















Premessa al D-Day


Sono in fase di rieducazione al gusto.
Lo scorso anno è stato difficile sotto questo profilo.
Eventi troppo legati ai miei sensi, mi hanno portato a non sentire più (per i dettagli basta scorrere i post a ritroso), il che è equivalso ad una sorta di stato di catalessi gustativa che mi ha impedito di aderire contrariamente al solito, ad una sorta di logica pavloviana che credevo mi contraddistinguesse in qualche modo (esiste un rapporto di proporzionalità di cui non ero a conoscenza e che lega il potere dei sensi a quello dell'ego? ci penso su..).
Che fare in questi casi?
"RIABILITAZIONE" , mi sono detta.
Come i veri tossici hanno bisogno di assistenza da parte di esperti, ho considerato che l'aiuto ai miei sensi non avrei potuto darmelo da sola.
ANCHE IO AVREI AVUTO BISOGNO DI ESPERTI e di materia prima valida che fosse realmente in grado di aiutarmi nel processo di rieducazione.
E' da questa spinta che nasce la mia partecipazione al D-Day.


mercoledì 13 gennaio 2010

Carezza di sedano scaldacuore con gamberetti



L'inverno porta con sè il freddo nel cuore.
Giornate intere di pioggia e vento che ti gela i pensieri.
Torni a casa e tutto ciò che vuoi è calore.
Il calore di un abbraccio che non senti da un pò, quello di un sorriso che di rado ti capita di incrociare.
D'inverno torno a casa piena della tristezza degli sconosciuti che incontro per caso. E forse anche un pò della mia. Mi sento una spugna che assorbe tutto.
Lo vedo negli occhi della gente, l'inverno. La neve che piano ha fatto la sua coltre nell'anima delle persone. Si è posata lenta e silenziosa sugli occhi che vedono l'altro chiaramente, ma non lo guardano davvero. Lo attraversano.
Quando cammino o viaggio in treno quegli occhi li vado a cercare.
Prima o poi capiterà che mi picchino per l'insistenza con cui li osservo.
Vorrei essere capace di estirpare quella coltre, scioglierla con un calore che è solo condivisione e comprensione.
Vorrei tornare indietro, gridare "aspetta!" a chi possiede quegli occhi e dedicare loro una carezza.
Questo post e questa ricetta sono un modo di combattere l'inverno.
Dedicato a tutti quelli che l'inverno ce l'hanno negli occhi e a tutti quelli che non l'hanno mai visto.

Ricetta per due carezze per uno
1/2 sedano
2 patate piccole
2 carote
un pezzetto di buccia di limone
10 gamberi (i miei erano surgelati ahimè!)
3 fette di pane bianco o pan carrè
due cucchiai di parmigiano
olio di oliva
una foglia di alloro
mezzo dado
due pizzichi di sale
una noce di burro


Mettete in una pentola capiente mezzo litro di acqua e quando bolle, versateci dentro il sedano a pezzetti, le patate a tocchetti, il dado e le carote tagliate grossolanamente.
La grandezza del taglio dipende dal tempo che avete: se il tempo per le carezze è poco, fate i pezzi più piccoli che potete...si cuoceranno prima.
Nel frattempo versate in una piccola pentola tre bicchieri di acqua a bollire con la foglia di alloro, la buccia di limone.
Quando l'acqua è in ebollizione, versateci dentro i gamberetti e lasciateli cuocere a fuoco lento per cinque minuti.
Scolateli senza buttare la loro acqua di cottura.
Rimettete sul fuoco l'acqua di cottura dei gamberetti e aggiungete le carote
prelevate dalla pentola più grande, in modo che finiscano di cuocersi aromatizzandosi un pò.
Tagliate a striscioline il pane bianco e ponetele su un foglio di carta da forno adagiato sulla teglia.
Versate a filo l'olio e spolverizzate di parmigiano.
(Non storcano il naso i puristi: sì, con i gamberetti ho usato formaggio!embhè?)
Accendete il forno a 180° per dieci minuti.
Intanto prendete il vostro fidato amico frullatore a immersione e frullate sedano e patate.
Sciacquatelo e dopo aver eliminato alloro e buccia di limone, controllate che il prossimo frullato di carote abbia una maggiore densità del precedente di sedano e patate.
Nel caso in cui non vi sembri così, togliete un pò di acqua di cottura.
Frullate anche le carote. Estraete dal forno i vostri crostini rozzi. Fate sciogliere il burro in una padella e friggete i gamberetti.
Componete il piatto, aiutandovi con un cucchiaio affinchè possiate dare la forma del cuore al centro del piatto. Versate un pò d'olio a filo e del pepe nero se vi piace.
Il cuore sarà quello scalderete.