giovedì 20 novembre 2008

La "cucchiarella" stupida


Ora, un paio di domande: chi si occuperà di tarare i cucchiai? Chi stabilirà la giusta temperatura di consumo di un cibo?
Perché accade che ciò che per me è molto caldo o freddo, per qualcuno è semplicemente piacevole?
Esiste un filone culinario che vede validi chef affermare la presenza costante della chimica in cucina: credo di aver ribadito più volte in modi differenti che l’eccesso di scientificità in un piatto mi sembra lo privi della poesia dei sensi, dell’ingenuità che siano solo i sensi a stabilire come “deve esser fatto”.
So che non è così. Non può essere così. Accade lo stesso per il vino. Perché ci aspettiamo che quel piatto mangiato una volta e impresso nei nostri ricordi, abbia sempre lo stesso sapore. Lo vogliamo così.
Lo sappiamo o no che ciò che viene dalla terra, dalla stessa terra, usato sempre nella stessa quantità per creare un piatto, può cambiare? Risentire di una raccolta sfortunata, di un’annata in cui ha piovuto di più o di meno e il sole è stato poco o troppo generoso.
Guardiamolo il cibo, annusiamolo, cerchiamo di riprodurlo simile ai nostri ricordi sensibili, ma con la consapevolezza che le condizioni di produzione spesso cambiano. Usiamo gli occhi ma non ne facciamo uno strumento di valutazione solo estetica quando scegliamo i cibi.
Annusiamoli, prima e dopo la cottura e sorprendiamoci davanti alla scoperta di quanto muti il loro sapore.
Adoperiamo anche le orecchie per riconoscere la musicalità di un ragù che bolle, di un aglio che soffrigge con una nota diversa dalla cipolla.
E nel preparare un piatto, lasciamo da parte il cucchiaio intelligente e fidiamoci della vecchia, fedele, stupida, “cucchiarella” di legno dal manico bruciacchiato.




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