domenica 30 novembre 2008

Il piatto piange


Questo è un post triste. La foto ne è forse la testimonianza migliore. Un piatto vuoto.
Stavolta non vi racconterò di spezie e ingredienti. Cercherò di essere meno polemica possibile. Non ci saranno ricette per voi.
Stranamente questa volta il potere terapeutico della cucina non mi ha giovato.
La foto in alto non è scattata con la mia digitale: durante lo scorso weekend, ho attraversato diversi stati d'animo e l'immagine che meglio li rappresenta è un piatto vuoto, quello che mi auguro avesse di fronte a sè ogni giorno il ladro che, entrandomi in casa sabato, mi ha rubato portatile, digitale e ricordi. Praticamente il materiale di cui è fatto questo blog.
La povertà di un piatto vuoto mi aiuterebbe a non serbare rancore.








venerdì 21 novembre 2008

Chicco...di grano

Sono viziata. Non consumo grandi quantità di pane e mi piace croccante. Poco ma buono.
Però sono pigra e non mangiandolo ogni giorno, mi ritrovo a sognarlo tutte le volte (e accade spesso) che dimentico di acquistarlo. E quando lo acquisto, mi capita di mangiare altro e così ho dovuto sviluppare una tecnica di riciclo del pane.
Devo ammettere certo che nell'ultimo anno, l'aumento del prezzo del pane è stato comunque un deterrente all'acquisto quotidiano.( A proposito di questo, date un'occhiata al link qua sotto).
Il mio rapporto col pane è un rapporto di quelli che durano da anni e che per fortuna è uno degli eterni (fatto di alti e bassi) che posso annoverare tra le mie esperienze "sentimentali".
Una specie di eterno fidanzato (e non innamorato, attenzione....) o marito.
Però con lui faccio di tutto. Provate anche voi: con il pane si può davvero fare tutto.
Lo adoro nei ripieni, perchè si può condire con un sacco di spezie rendendo ricco anche un piatto povero.
La ricetta di oggi riguarda i peperoni ripieni, o quelli che in calabrese si chiamano "pipi chini".
Bastano un paio di fette di pane raffermo, del latte, aglio, sale , pepe, prezzemolo, pecorino e tutto quello che avete nel frigo (tipo salamino, prosciutto, scamorza affumicata...).
Mi sa che è ora di cucinare, se no nei peperoni vi faccio mettere anche vostra nonna, che se è cicciottella come nella migliore delle tradizioni, ci sta da paura!


http://arezzo.blogolandia.it/2008/12/04/gruppo-di-acquisto-popolare-pane-a-1-eurokg-a-saione/

giovedì 20 novembre 2008

Il cucchiaio intelligente

Farsi domande potrebbe essere il mio mestiere. Perché non mi accontento. Cerco risposte. E la mia testa diventa un affollarsi di input infelici che quando non si trasformano in output felici, si risolvono in aspirine sciolte nell’acqua (che frizzano pure, rendendo talvolta amplificato il mal di testa da sovraesposizione).
Leggo della fantastica invenzione del “cucchiaio intelligente”: un prototipo di cucchiaio in grado di stabilire il giusto grado di sapidità del cibo, l’equilibrio tra acidità e altro, forse anche la temperatura.
Mi chiedo: ne ho bisogno? So che tante invenzioni inizialmente strambe sono nate dallo stesso interrogativo e poi diventate, ahimè, insostituibili (perché ora non me ne viene in mente nessuna?).
Così provo ad immaginarne le situazioni d’uso.
Cucina di un ristorante Tre Stelle Michelin: lo Chef o il suo vice, assembla gli ingredienti per una portata che il cliente in sala attende trepidante…basi, cottura: ok.
Ancora in padella (o pentola, o forno,o abbattitore o quello che vi pare)….il piatto è lasciato quasi a sé, gli si butta solo qualche occhiata perché non muoia di solitudine, tanto l’ultima parola sarà del cucchiaio intelligente!
Vedo già una rivoluzione nella brigata di cucina: accanto ai classici ruoli, nei prossimi annunci di lavoro ci sarà scritto “con almeno tre anni di esperienza nell’uso del C.I.”.
Sarà il sous chef ad usarlo? È qualcosa che può fare anche il lavapiatti?
inventeremo pentole di riflesso intelligenti perché dotate del suddetto cucchiaio?
Insomma, l’uso ci chiarirà le idee.
La mis en place è a posto. Il piatto arriva sul tavolo del cliente (esigente perchè disposto a sborsare 80 euro per quel piatto). Ansia. Il cliente ne valuta l’aspetto. Non si fa ingannare come una volta dai profumi che il cibo gli racconta: è come se avesse perduto l’intelligenza dei suoi sensi e questa si fosse trasferita nel cucchiaio, di cui da buon critico è naturalmente anch’egli dotato.
Lo estrae dall’apposita custodia.
Per la prima volta sente di possedere un reale, scientifico metodo di valutazione del cibo.
Inserisce il cucchiaio nel piatto e….all’improvviso un allarme delicato, ma persistente si materializza nelle sue orecchie (il cibo da consumatore non coinvolge anche questo senso, che nel frattempo, causa perdita dei suoi fratelli, si sarà perfezionato e avrà ampliato le sue capacità).
Le mandibole del runner, rimasto fino ad allora accanto al tavolo, in attesa di valutare la giustezza del piatto, inevitabilmente si contrarranno e la sua voce si preparerà ad assumere quel tono di scuse confacenti la situazione.
In cucina nel frattempo, udito quel suono, si ricomincerà da capo a preparare lo stesso piatto probabilmente ritarando il cucchiaio o semplicemente facendolo volare nella pattumiera (dopo avergli dato chiaramente dello “stupido”).

La "cucchiarella" stupida


Ora, un paio di domande: chi si occuperà di tarare i cucchiai? Chi stabilirà la giusta temperatura di consumo di un cibo?
Perché accade che ciò che per me è molto caldo o freddo, per qualcuno è semplicemente piacevole?
Esiste un filone culinario che vede validi chef affermare la presenza costante della chimica in cucina: credo di aver ribadito più volte in modi differenti che l’eccesso di scientificità in un piatto mi sembra lo privi della poesia dei sensi, dell’ingenuità che siano solo i sensi a stabilire come “deve esser fatto”.
So che non è così. Non può essere così. Accade lo stesso per il vino. Perché ci aspettiamo che quel piatto mangiato una volta e impresso nei nostri ricordi, abbia sempre lo stesso sapore. Lo vogliamo così.
Lo sappiamo o no che ciò che viene dalla terra, dalla stessa terra, usato sempre nella stessa quantità per creare un piatto, può cambiare? Risentire di una raccolta sfortunata, di un’annata in cui ha piovuto di più o di meno e il sole è stato poco o troppo generoso.
Guardiamolo il cibo, annusiamolo, cerchiamo di riprodurlo simile ai nostri ricordi sensibili, ma con la consapevolezza che le condizioni di produzione spesso cambiano. Usiamo gli occhi ma non ne facciamo uno strumento di valutazione solo estetica quando scegliamo i cibi.
Annusiamoli, prima e dopo la cottura e sorprendiamoci davanti alla scoperta di quanto muti il loro sapore.
Adoperiamo anche le orecchie per riconoscere la musicalità di un ragù che bolle, di un aglio che soffrigge con una nota diversa dalla cipolla.
E nel preparare un piatto, lasciamo da parte il cucchiaio intelligente e fidiamoci della vecchia, fedele, stupida, “cucchiarella” di legno dal manico bruciacchiato.




mercoledì 22 ottobre 2008

Il Caffè e la Signora Sambuca: il segreto di un matrimonio inossidabile.



Qualcuno mi ha detto che troppo spesso i miei ricordi sono legati agli odori e ai sapori delle cose.
Ci sono aromi e profumi (non tutti piacevoli, in realtà) catalogati nella mia testa come tanti file di un computer che, ogni qual volta sono nell'aria, si aprono letteralmente e insieme ai miei sensi, scatenano ricordi.
La Sambuca ad esempio, è un file pesantissimo.
L'unica cosa che di Lei me la rende simpatica è il sapere che sia fatta di anice stellato, il che mi fa pensare inevitabilmente a qualcosa di magico, notturno.
La Sambuca ha un aroma inequivocabile, riconoscibile tra mille. Per alcuni è una dipendenza.
E' un mito degli anni '50: liscia, con ghiaccio. Divertente con la mosca. Perfetto connubio del caffè.
Un prodotto che davvero non risente del trascorrere del tempo, da sempre presente sul mercato, la sambuca amplia il suo target conservando nell'immaginario qualcosa di spiegabile solo attraverso il gusto sempre uguale a se stesso.
E' un gusto che ho sempre detestato.
Apprendere qualche giorno fa che uno dei padri dello storico marchio di Sambuca fosse deceduto, mi ha invece indotto a scriverne.
Non necessariamente si dedica del tempo a ciò che ci piace.
Così a me il suo aroma ricorda tutte le volte in cui, servendone, pensavo a dover sciacquare il bicchiere prima di metterlo al lavaggio, pensavo che mi sarebbe inevitabilmente salito al naso quell'odiato aroma. Finivo di riflesso per detestare anche i consumatori di Sambuca.
L'anice è anche il liquore che mia nonna usava per aromatizzare i dolci. Ho scoperto con piacere che lo stesso marchio è ancora in commercio.
La Sambuca mi ricorda gli anni del Liceo e la mia compagna che adorava così tanto mangiare caramelle all'anice che parlando con lei i primi giorni di scuola, mi sono chiesta come facesse ad essere alcolizzata sin dal mattino!


















sabato 4 ottobre 2008

Piccoli segreti d'amore di funghi e gorgonzola


Tutti abbiamo dei segreti o cose che ci piace tenere nascoste, forse perchè le consideriamo buffe o solo straordinariamente tanto preziose da non desiderare condividerle con nessuno.
Per me le cose da preservare sono solo le più belle, come gli affetti o quegli speciali rapporti che si creano neppure-tu-sai-bene-come, ma nascono e si trasformano.
Senza un nome o un'identità.
Che sfuggono a quel desiderio ossessivo di classificazione che spesso ci è utile per regolare la vita.
Mi piace pensare (e sento davvero che è così) di custodirle al riparo, quasi di avvolgerle.
Il piatto di oggi è una metafora di tutto questo: nato in un pomeriggio di sole al pensiero di qualcosa a cui non so dare un nome, ma che sento di dover tenere al riparo e che nonostante ciò, ho voglia di celebrare in maniera intima, di esaltare.
Per creare i miei segreti ho scelto un cuore di funghi e besciamella per il ripieno delle crepes e una salsa calda di gorgonzola e latte.
Vi consiglio di usare il pepe nero in grani da mescolare alla besciamella perchè ogni tanto, nel gustare i vostri segreti, sarà bello trovarci dentro una sorpresa da sgranocchiare.
In abbinamento ho scelto un vino non fermo: salvo rare eccezioni, le bollicine mi piacciono poco, ma stranamente questo mi ha incuriosito.
Vi dirò che non è solo l'etichetta ad avermi orientato: Primo Amore frizzante delle Venezie di Zonin (blend di Moscato bianco, Prosecco e Garganega) mi ha divertito, conservando appieno la propria fragranza e quella del segreto che ora conoscerà anche il mio commensale.
Riservate questa ricetta facile ad una cena in cui avete voglia di tenere o svelare un segreto.
Mi fate sapere quando li cucinate?


Ricetta segreta
(la scambio solo con una delle vostre e con Lidia che già me ne ha postata una)

giovedì 25 settembre 2008

L'AMAta AMAtriciana

Roma per me vuol dire amatriciana, qualcosa che devo cucinare ogni tanto: la mia dose di tossica romana. Rivisito di proposito la versione ufficiale, visto che il fatto che un piatto tanto rappresentativo della Città sia originario di una località limitrofa, ti fa capire subito quanto sia “furba” .
Roma è una donna un po’ vecchia, a cui l’età non ha tolto la vanità di un rossetto rosso e di un collo di pelliccia, utile non a ripararsi da un freddo che non le appartiene, ma a rendere più bello ciò che è già bello per natura.
Piena di contraddizioni, di aperture e profonde chiusure, di strade larghe e lunghe che ti sembra percorrendole, tu possa arrivare dovunque perché sei al centro.
Erroneamente Lei ti fa credere di essere al centro di un mondo che è là, in ogni angolo.
A Piazza Vittorio lo trovi nelle spezie che popolano il mercato, negli ortaggi che vengono da un posto lontano e che puoi assaporare semplicemente acquistando un biglietto da un euro.
Una parte del mondo la scopri nella Moschea, un’altra nel quartiere ebraico: luoghi in cui la gente prega un Dio solo in apparenza diverso dal tuo.
Roma è piena di violenza e di amore. E’ ricca, ma stracolma di poveri. Piena di sole, ma anche di giornate interminabili di pioggia.
E’ una madre generosa che accoglie tutti i suoi figli, ma che spesso non sa come crescerli.
Roma è il rosso di un sugo semplice come i romani, la goliardia del guanciale fritto, il divertimento del pecorino, il ticchettio di un vino sfumato, il calore di una mezza manica di un tramonto di settembre.

Dose per 1
100 gr di mezze maniche
8 pomodori piccadilly
2 foglie di basilico
20 gr di pecorino in scaglie e 30 gr di pecorino grattugiato
Mezzo bicchiere di vino bianco
100 gr di guanciale
2 cucchiai di olio d’oliva
Sale grosso e fino

Soffriggete in una padella il guanciale tagliato a listarelle non troppo sottili per circa 5 minuti. Sfumate con il vino. Intanto mettete sul fuoco la pentola per la pasta.
Togliete dalla padella il guanciale e lasciatelo scolare dall’olio in eccesso: questa operazione serve ad evitare che l’acqua dei pomodori renda molle il croccante guanciale.
Nella stessa padella, unite i pomodori interi e coprite con un coperchio. Lasciate aprire i pomodori e cuoceteli per circa 10 minuti.
Non salate il sugo, tenendo a mente che dovrete aggiungere il guanciale che è già piuttosto saporito.
Non lasciate che il sugo si asciughi troppo. Aggiungete il guanciale e il pecorino grattugiato.
Versate la pasta nella padella e amalgamate sul fuoco.
Come decorazione del piatto e perché è davvero godurioso, aggiungete le scaglie che conferiranno il giusto grado di sapidità e croccantezza.



martedì 16 settembre 2008

Stiufy di cipolle al curry e rosmarino

Vado pazza per le cipolle. Adoro il curry.
Ieri in astinenza dal cucinare e desiderando deliziare una mia splendida amica, penso di farle cosa gradita preparandole un dolce.
Troppo spesso le mie intenzioni subiscono un mutamento di orientamento.
Il profumo del rosmarino è stato fuorviante, scioccante: mi ha provocato quella confusione creativa per cui mi sono messa davanti ad un tagliere e le cipolle che decoravano il cestino del pane mi hanno strizzato l'occhio. Le ho sentite sussurrarmi "Prendi noi! lasciaci stufare nel burro, delicatamente.Lasciaci colorire ed espandere il nostro profumo."
Le cipolle sono una bella metafora di vita: fanno piangere, ma anche ridere di ridicolo, se quando le tagli non sei veramente triste. Si amano o si odiano.
Hanno un colore che dal bianco candido può muoversi al rosa scuro, fino a quella tonalità che solo le cipolle Tropea possono vantare.
Quello che vedete nella foto non è nient'altro che un muffin salato.
L'ho chiamato Stiufy in suo onore, anche se per correttezza ogni singolo pezzo andrebbe chiamato Stiufo.
Ma questa è un'altra storia.

Ricetta per 4 Stiufy (ammesso che di Stiufy ce n’è una sola!)

2 uova
2 bicchieri di latte parzialmente scremato
70 gr di parmigiano grattugiato
30 di pecorino
10 aghi di rosmarino (non esagerate visto che il rosmarino è egoista e tende a rubare la scena agli altri aromi)
2 grosse cipolle bianche
mezzo cucchiaino di curry in polvere
due pizzichi di sale
mezzo bicchiere di vino bianco (un comune igt va benissimo…sì, sì va bene anche la bottiglia che avete aperta nel frigo)
sale
pepe
un bicchiere e mezzo di farina

Affettate le cipolle a rondelle sottili. Stufatele in una padella medio grande con due cucchiai di olio. Copritele con un coperchio. A metà cottura ( a me piacciono croccanti), salate e versate il vino.
Lasciate evaporare senza coperchio e sul fuoco ancora 5 minuti.
Non giratele spesso, altrimenti rischiate che gli anelli diventino fili di cipolle e perdano tutta la loro ironia. Accendete il forno, tenendolo a bassa temperatura.
Nel frattempo (o anche dopo - a cottura ultimata delle cipolle- se non avete fretta), sbattete le uova intere in una ciotola e unite, sempre mescolando lentamente, latte, farina, sale pepe, rosmarino (insomma tutti gli ingredienti tranne le cipolle).
Prendete dei pirottini di alluminio (io quelli di silicone ancora non li ho trovati economicamente abbordabili), oliateli un po’ e mettete sul fondo di ognuno qualche anello di cipolla, poi due o tre cucchiai di impasto e guarnite il tutto con qualche anello di cipolla.
Prendete una pirofila di alluminio e riempitela con due dita di acqua. Mettete all’interno i pirottini che devono essere toccati dall’acqua fino a metà.
180 gradi per 40 min.











sabato 6 settembre 2008

Rotoli di (ciccia e ) zucchine


Consiglio a tutti coloro che sono stufi dell'estate, a coloro che per mesi interi hanno sperato che finisse, di non leggere questo post che in sostanza è un inno all'estate perpetua.
Ma come si fa a non amarla? come si fa a non apprezzare le decine di ortaggi e frutti di stagione, della cui esistenza in inverno quasi ci dimentichiamo?
come si fa a non imprecare contro noi stessi per aver consumato una quantità esagerata di cibo che è rimasta visibile sul nostro corpo manco fosse un ricettario regionale? così, di ritorno dalle mie vacanze, con qualche rotolo in più, mi sono detta: "adesso i rotoli li cucino!".
Quella di oggi è una ricettina facile facile, con l'unico neo del forno: ma vi avevo o no avvertito di non leggere se odiate il caldo?
poichè non concepisco per formazione la versione "light" delle ricette, abbiate almeno l'accortezza di apprezzare che non c'è nulla di fritto (cosa mi sta succedendo?sensi di colpa da rotolo?) nella preparazione di questi miei rotoli.
Ora, è chiaro che se volete aggiungere una pagina al ricettario del vostro corpo e preoccuparvi solamente di essere "belli dentro" (come è giusto che sia, visto che è ancora estate e siete ancora in vacanza) soffriggete pure l'aglio e il tonno variante che, neppure va detto, è una vera goduria.


Rotoli di zucchine

Ingredienti per 2
5 zucchine non molto grandi 1 scatola di tonno all'olio d'oliva da 150 gr
pan carrè o pane raffermo 1 bicchiere di latte sale grosso e fino 2 piccoli agli
50 gr di parmigiano reggiano basilico prezzemolo pepe nero
4 cucchiai di pane grattuggiato


Fate bollire in una pentola un litro di acqua calda. Nel frattempo mondate (mi è sempre piaciuto questo verbo esclusivamente culinario!) le zucchine. Tagliatele in due o tre parti, a seconda della loro grandezza ottenendo così una decina di rotoli.
Salate l'acqua con un pugno di sale grosso e immergetevi le zucchine per circa 5 minuti: fate attenzione al grado di maturazione delle zucchine: è necessario che l'acqua bollente non apra i rotoli, che devono restare croccanti e terminare la cottura in forno. Sbriciolate il pane con le mani in un recipiente e versatevi il latte.
Scolate i rotoli.Lasciateli raffreddare su un tagliere. Tritate finemente i due agli. Se pensate di avere una vita sociale intensa, semplicemente divideteli in due parti, che risulteranno più facili da eliminare post cottura.
Preparate il ripieno: in una capiente ciotola mescolate il tonno appena sgocciolato, i due agli, un pizzico di sale, una generosa manciata di pepe, il basilico ed il prezzemolo sminuzzati e due terzi del parmigiano.
Armatevi di santa pazienza e come se foste dei provetti scultori, con un levatorsoli (o scavamela o scavino o comediavololochiamate), delicatamente incidete l'interno dei rotoli, facendo attenzione a non romperli.
La polpa delle zucchine va aggiunta al miscuglio di tonno e pane che avete pasticciato in precedenza.
Il ripieno deve essere abbastanza fluido, ma non troppo da ritirarsi vergognoso nel forno.
Accendete il forno a 180 gradi. Sistemate in una teglia con carta forno i rotoli ripieni di tonno &CO. sui quali avrete cosparso pane grattuggiato, pepe e parmigiano. Cuocete per una mezz'ora. Per dorarli accendete tre nanosecondi il grill. Meglio consumati freddi (e con le mani).
P.S. se vi avanza il ripieno...devo dirvelo?aggiungeteci altro pane, o carne macinata e fateci delle polpettine fritte ottime come accompagnamento al riso basmati.








mercoledì 3 settembre 2008

Cosa voglio di più dalla vita?












Decido di sfruttare questo pay-off poco originale, perchè quest'estate ho avuto il piacere di visitare anche la Lucania, terra strana in cui avverti subito quanto la ricchezza del territorio sia confinata in un limite geografico troppo ristretto.
Descrivere la Lucania (e la Basilicata), vuol dire innanzitutto spiegare tra quali regioni sia confinata, perchè è terra di passaggio per chi si reca nella più nota Calabria e terra di confine con la confusa Campania. Sulla strada che percorri per arrivarci, sembra anche a te di perdere le certezze geografiche, quei confini che più volte hai guardato ed eri certa di aver imparato, certa di sapere "dove ti trovi".
Invece la Lucania ti confonde, consapevole come è di essere "terra di mezzo", rivendica all'improvviso, nell'architettura e nelle tradizioni, un'identità sobria che ti acceca, perchè ne senti insieme l'educata forza e l'impetuosa grazia.
Il mare lucano è limpido se lo vivi da dentro, se da quelle acque ti lasci coinvolgere, ma grigio e nero se lo guardi dall'alto di scogliere che ti tolgono il fiato. Il mare lucano è lo specchio dell'anima di chi qui ci è nato.
Dicotomico. Chiaro e scuro. Montuoso e marino. Caldo come il sapore dei pipi ruschi e fresco come il pesce appena pescato. Forte come l'odore dell'origano essiccato e morbido come la provola.
Vorrei postarvi un pò di ricette, ma vi sottolineo solamente la meraviglia dei pipi ruschi (peperoni rossi essiccati e poi fritti), magico accompagnamento alla focaccia bianca con guanciale o come "semplice" condimento (assieme a crostini fritti di pane) dei maltagliati cosparsi di ricotta salata.

giovedì 21 agosto 2008

In Abruzzo come in Giappone


Ebbene sì! mi sono concessa qualche giorno di vacanza, restando però dalle mie parti (in Abruzzo) e al volo posto, in attesa di fare un altro mini-viaggio che mi porterà invece a riassaporare il gusto di quel Sud che occupa una parte del mio cuore.
Sono riuscita (durante questa pausa)a cucinare qualcosa, ma diciamo che la compagnia esigeva che i pasti fossero consumati al ristorante, sicchè, adeguandomi alla comune volontà, ho gustato piatti cucinati dalla altrui abilità.
E, se di abilità e manualità vogliamo parlare, chi meglio dei giapponesi può darcene prova?
vedere impastare il riso per farne sushi è uno spettacolo che merita la vista e per chi, come me, adora il pesce crudo, è quanto di più gustoso si possa consumare.
Per conoscenza, il sushi è un cibo a base di riso cotto con aceto di riso, zucchero e sale e combinato con un ripieno o guarnizione di pesce, alghe, vegetali o uova. Il ripieno può essere crudo, cotto o marinato e può essere servito disperso in una ciotola di riso, arrotolato in una striscia di alga o disposto in rotoli di riso o inserito in una piccola tasca di tofu.
Il sashimi è invece pesce servito senza riso.

Buon appetito, signoli!




giovedì 7 agosto 2008

L'amico pomodoro


Il pomodoro mi fa simpatia. E' l'amico che tutti abbiamo o che vorremmo avere. Potrebbe tranquillamente chiamarsi, che ne so (?), Sandrino. Uno che puoi coinvolgere in qualunque cosa, perchè come il nero, "va su tutto".
Però è rosso come il sole d'estate che lo fa crescere.
Il pomodoro colora un piatto un pò triste, rende acidulo un piatto troppo dolce o dolce un piatto con note acide: ci sono numerose varietà che si prestano ad ogni occorrenza e bisogno.
Quando ero piccola, lo coglievo dall'orto e lo mangiavo come si mangiano le caramelle, una dopo l'altra, voracemente, ancora caldo, con un profumo misto di terra. Allora non sapevo mica che il pomodoro, una garanzia contro l'invecchiamento (ricco di betacarotene, licopene e vitamine varie) mi avrebbe assicurato contro l'avanzare delle rughe (oddio...avrei dovuto mangiarne di più?)!
Quella che vi posto è la ricetta dei pomodori ripieni di riso: la tradizione vuole che si cuocciano nella teglia adagiati su uno strato di patate, ma ho preferito mescolare le patate a cubetti con il riso e cuocerli al cartoccio (o semi-cartoccio).
L'unica difficoltà della ricetta sta nel restituire ad ogni pomodoro la propria calotta!


Pomodori al riso e patate
5 pomodori ciccioni allo stesso modo 2 patate
2 agli 5 fette di formaggio molle (quello che più vi piace)
prezzemolo 3 cucchiai di parmigiano reggiano
basilico sale
pepe nero noce moscata

Mettete a bollire un litro di acqua.
Tagliate la calotta dei pomodori in modo da poter svuotare questi ultimi dei loro semi e del succo che raccoglierete in una ciotola capiente tanto da contenere l'aglio fatto a pezzetti (non tanto piccoli, se intendete avere una vita sociale), il prezzemolo, il basilico, sale e cubetti di formaggio.
Capovolgete i pomodori (dopo averne tenuto da parte le calotte) su un tagliere, in modo che si asciughino un poco al loro interno. Tagliate le patate a cubetti.
Salate l'acqua e buttate il riso (nella pentola, non nel secchio!), fatelo cuocere per metà del suo tempo di cottura (variabile in base alla varietà di riso scelto, ma preferibilmente una decina di minuti cosicchè anche le patate abbiano il tempo di cuocersi), scolate, LASCIATELI RAFFREDDARE e uniteli al composto con un pizzicodi noce moscata (che esalta il gusto delle patate).
Farcite i pomodori e prima di chiudere ognuno con la propria calotta, spolverate con il parmigiano (che nella cottura aiuterà a tenere unite le due parti del pomodoro e a creare una piacevole crosticina).
Ricavate dei rettangoli dai fogli della carta forno, adagiatevi sopra i pomodori e arrotolate i bordi del rettangolo per chiudere il cartoccio.
Forno a 180 per quaranta minuti/un'ora.

N.b. il riso si può anche non cuocere prima della cottura in forno e usare crudo nel composto. In tal caso, fate attenzione che la varietà non sia di quelli che "non scuociono mai", altrimenti avrete dei pomodori ripieni di...sassi. Un classico Riso ribe parboiled è ok.




























venerdì 1 agosto 2008

Lo "scaricanervi": il Pesto


Che la cucina abbia doti terapeutiche è come affermare che viviamo sulla Terra, anche se alcuni si comportano come se non fosse così (ma questa ipotetica vena acidula comprometterebbe la tesi introdotta nel titolo del post) e ritengono invece che seguire ricette e cimentarsi ai fornelli sia frustrante, che generi una sorta di ansia da prestazione con cui dover fare i conti a piatto ultimato.
Mi spaccio per democratica e dunque cercherò di comprendere (non di sostenere) questo punto di vista, giustificando il mio con una posizione moderata. Dipende.
Dipende da ciò che si cucina, dalla consapevolezza delle proprie capacità, da quanto intendiamo sfidarle, etc,etc.
Di una cosa sono certa e non mi muoverò da questa idea: fare il pesto funge da scaricanervi.
Vuoi mettere battere le foglioline di basilico nel mortaio ruotando il pestello...sentire i profumi che salgono su, l'odore dell'aglio appena accennato?
per la ricetta, vi linko il sito del Consorzio del Pesto (eh, già: il pesto va protetto!)
io il pecorino l'ho messo nella cialda su cui ho appoggiato gli spaghetti (a poche ricette concedo la pasta lunga...).

Adesso sì che sono tranquilla!

sabato 26 luglio 2008

Non sappiamo più a quale Vin Santo votarci?



Sono perplessa da qualche giorno.
Il vino è una mia grande passione, fortunatamente condivisa con milioni di persone che, come me, lo acquistano e lo apprezzano.
Mi è capitata tra le mani una newsletter di un'azienda avellinese produttrice di Taurasi: mi si informava di una iniziativa per la quale ognuno di noi può prodursi il suo vino sfruttando attrezzature e competenze enologiche dell'azienda di cui sopra.
Al di là degli apprezzamenti sull'originalità dell'iniziativa, mi è scattata dentro una certa vena polemica: ho un'idea romantica del vino che cozza spesso con le pratiche di cantina, con il marketing fine a se stesso (quello per cui "produrre è vendere")...
sarò antica, ma adoro la sorpresa, la scoperta rispetto alla consapevolezza per cui se un vino è un assemblaggio di certe uve avrà certi sentori, sarà l'espressione del territorio in cui è prodotto, la quasi certezza per cui dentro ci troverò le leggi del "gioco" dell'uva e non quelle del mercato.
Non c'è un vino che vorrei. Non siamo tutti enologi. Lasciamo fare a chi lo sa fare il proprio mestiere. E se davvero non sappiamo a che santo votarci per tirar fuori un vino che sappia far parlare di sè e di chi lo produce, allora torniamo a consultare il buon Frate Indovino....


venerdì 11 luglio 2008

Tutti frutti


Continua la saga delle mie dolcezze. Stavolta l'ispirazione è venuta dai ribes raccolti in giardino.
Ho considerato che preparare dolci è più faticoso, ma più rilassante.
Quella di oggi è una torta di frutta canonica, con tanto di pasta frolla come base.
Per i non addicted, la pasta frolla è una massa cicciona di burro impastato con farina, uova, zucchero, miele, limone e un pizzico di lievito in polvere.
Va lavorata con le mani e vi assicuro che grazie alla sua consistenza dona una certa sensazione di onnipotenza divina: si può modellare meravigliosamente prima di riposare in frigo per un'oretta.
La crema è la classica pasticcera preparata con ricetta di nonna: 4 cucchiai di zucchero, 4 tuorli, 4 cucchiai di farina, mezzo litro di latte, la buccia di un limone e cannella.
Se vi piace la vaniglia, ve la consento ma..solo in bacelli.
L'ho decorata con pesche, pere coscia e ribes, su cui ho lasciato cadere una soluzione di acqua e zucchero, dal m0mento che aborro la gelatina che lucida, sì, ma fa tanto colla.
In accompagnamento ho scelto Dolce sinfonia "Occhio di pernice" 2001 di Bindella, vin santo composto da Prugnolo gentile e Trebbiano che matura in legno per tre anni e affina in bottiglia per 12 mesi.
L'alternativa è un caffè corposo, una miscela ricca di quelle che ho avuto il piacere di degustare presso il Terme Manzi Hotel di Ischia.
Eccovi qua anche la colonna sonora http://it.youtube.com/watch?v=mlkMc0ZaJmY

venerdì 27 giugno 2008



Estate finalmente!
l'estate porta con sè il calore del sole, la bellezza di tramonti indimenticabili sul mare, la voglia di degustare vino bianco e di accompagnarlo al pesce.
Adoro il pesce crudo, dunque il post di oggi riguarda una ricettina il segreto della cui preparazione sta (come per la maggior parte della cucina) nel possedere un coltello adatto.
La tartare in alto è di un bellissimo pesce di colore rosa chiaro più delicato del salmone, quasi carnoso, tagliato grossolanamente e condito con olio d'oliva, sale grosso e una macinata di pepe misto.
Ho deciso di accompagnarlo con l'ottimo Soave classico Doc 2004 Contrada Salvarenza Vigne Vecchie di Gini: un vino rappresentativo del territorio veronese con una bassa resa per ettaro e una alta qualità. Un metodo di elevazione completamente in barrique e più di sei mesi di affinamento in bottiglia, rendono questo vino complesso e ricco di sentori esotici, minerali. Assolutamente affascinante.

martedì 17 giugno 2008

Anche a Giulianova nasce lo zenZERO



Il nome non è uno dei più originali. Sarà che lo zenzero è una pianta che riesce a dare quel tocco di esotico e differente ad alcuni piatti un pò "stanchi", da avere in breve tempo conquistato molti che lo hanno scelto per indicare il loro ristorante.
In effetti, pensandoci su, quel nome racchiude perfettamente una tipologia di cucina tradizionale, ma rivisitata. Ce n'è per tutti i gusti, senza però strane o spiacevoli sorprese.
Il Ristorante ZenZero è fresco di apertura, l'arredamento minimalista - con una azzeccatissima scelta di toni chiari che dal bianco vertono al grigio e ad alcuni dettagli di alluminio - lo rendono un luogo davvero luminoso ed elegante (ma senza complicazioni).
Il bianco prevalente lo fa sembrare una grande tovaglia sulla quale i veri protagonisti sono cibo e vino: ottimi i raviolini con zenzero, pinoli e melanzane, gustosi i paccheri con pachino e lardo di patanegra, sfiziose le patate in cartoccio.
Accurata la scelta dei vini in carta con una rappresentanza prevalente di abruzzesi, a cui si accompagnano vini delle altre regioni senza dimenticare però le bollicine.
Nulla da ZenZero è lasciato al caso: un luogo dove tornare anche solo per la pausa caffè a due passi dal mare.


sabato 14 giugno 2008

Picasso e i biscotti


Anche oggi vi posto una ricetta.
Riflettevo sul fatto che le mie ultime imprese culinarie fanno riferimento ai dolci e che nel primo post sui dolci, parlavo di una filosofia non condivisa, o meglio non praticata.
Ora, da qualche giorno i dolci occupano la maggior parte del mio tempo.
Un pò come accadde a Picasso con il suo "periodo rosa", ecco, io mi trovo...nel mio "periodo dolci". Sono convinta che, proprio come quello dell'Artista, anche il mio periodo sarà breve e che come la malinconia del suo essere torna a farsi viva per dar vita al cubismo, anche la mia cesserà di produrre dolci e tornerà, rinnovata, a produrre primi, secondi e contorni.
Badate bene: non è che la similitudine con Picasso voglia accomunare le mie scarse capacità culinarie con quelle riconosciute dell'artista; è che Picasso mi affascina molto e mi piace l'idea di attraversare, così come accade nella vita, fasi di produzione culinaria differenti, specchio di ciò che nel quotidiano si vive e si esprime. Ognuno a modo suo.



Negretti
5 uova
100 gr di burro (o strutto)
1/2 limone
400gr di zucchero
1 bustina di lievito
500 gr di farina
150 gr di cacao in polvere

Accendete il forno a 180°. Disponete la farina a fontana. Unite le uova impastate con lo zucchero. Grattugiate la scorza del limone (facendo attenzione a non grattugiare la parte bianca amara della buccia), spremetene poi il succo nell'impasto. Aggiungete il burro, il lievito e continuate ad impastare. Dividete il panetto in due parti, in una delle quali mescolerete il cacao.
Disponete su di una teglia con carta forno, un rotolo di impasto bianco e accanto uno al cacao.
Infilate la teglia in forno caldo per 15 min e se vedete lievitato il panetto, estraete la teglia e con un coltello non seghettato, tagliate in lungo il panetto ricavandone i biscotti come vedete nella foto.
Mettete di nuovo in forno per 10 min i biscotti tagliati, affinchè diventino croccanti anche al loro interno.









giovedì 12 giugno 2008

A casa di Bea: "Presto! fate l'alcool test al suo frigo!"


Nottata casa di Bea. La tanto amata omonima dantesca, vive in una carinissima casetta romana affacciata su uno storico "rudere" che ti fa dimenticare di essere in una città caotica piena di palazzi alti e gente matta che li abita.
Quando sono da lei e magari esco a fumare in balcone, il rumore che sento è quello dei gabbiani e non è per via del poco tabacco che metto nelle sigarette (visto che fumo solo quello!)...i gabbiani volano davvero sopra il suo tetto e di notte, quando la strada sottostante non è molto trafficata, puoi anche far finta che più giù ci sia il mare.
Bea è davvero una persona sui generis: cioè lei è come è. Così tanto Bea che non potrebbe essere qualcun altro, dire o fare qualcosaltro che non le appartenga.
Ha l'anima un pò dark, ma fuori spesso assomiglia ad un manga.
Dopo averla informata di aver scattato la foto al suo frigo, mi urla dall'altra stanza: "Puoi scrivere che lavoro tanto e non ho tempo di fare la spesa?"
avrei voluto dirle che nonostante si lamenti del frigo vuoto, siamo riuscite comunque a cucinare un ottimo piatto di pasta integrale con pomodori pachino e ben due caffè che, per essere casa di una che non ne beve, rappresentano praticamente il manifesto dell'ospitalità.

mercoledì 11 giugno 2008

Una non tira l'altra: una giornata tra le "care" ciliegie


Devo aver perso la concezione del valore del denaro. Cioè non credo di averla persa, in realtà sono confusa o semplicemente sto invecchiando. Da qualche tempo la Domenica la dedico a gironzolare per paesini, alla ricerca di stimoli e cose curiose.
Domenica scorsa ho visitato Raiano, dove (sembra) ci fosse la 53esima Sagra della Ciliegia.
Il paese è celebre nel territorio per essere uno dei maggiori produttori di ciliegie, nonchè per la produzione di olive. Ad un paio di chilometri dal suo centro storico, si trova la Riserva Naturale Regionale delle selvagge Gole di San Venanzio, in fondo alle quali scorre il fiume Aterno.
Il tempo, al solito non è dalla mia...e non parlo solo di quello del giorno, ma mi riferisco a quello che ha caratterizzato l'intera stagione e che, ahimè, ha dato vita a frutti maturi ma privi di sapore.
Mi aspettavo un gran mal di pancia da indigestione di ciliegie, invece ho desistito: uno dei miei frutti preferiti mi ha deluso.
(Di solito l'aspetto esteriore del cibo mi attrae, ma non mi faccio ingannare mai dalla vista: l'assaggio mi dirà la verità).
Insomma, 4 euro al kilo per un frutto insapore mi pare davvero troppo!per fortuna che per guardarle non ho sborsato nulla!
e così la foto postata è quella di un vasetto di ciliegie alla sambuca acquistato da un mio amico: visto che non mi piace la sambuca potrò almeno coltivare l'illusione che quelle nel vasetto siano buonissime!



venerdì 6 giugno 2008

Non tutte le ciambelle riescono col buco!



...Quanto è vero!nel pomeriggio, dopo aver assaggiato ieri delle ciambelline al vino che non ho gradito affatto, mi sono cimentata nella realizzazione di quelle che (come vedete) sono diventate dei biscotti.
Scovo dal mio personale libro, la ricetta delle ciambelline. Sin dall'inizio, valutando la proporzione tra le dosi e aggiungendo man man gli ingredienti, mi sembrava di preparare ciambelle per un esercito, ma ho comunque seguito la ricetta.
Ora, capisco che alle volte quando si ha a che fare con una ricetta trascritta da chi ha parecchia esperienza, la dicitura "FARINA q.b." può suonare del tutto normale, ma per una non veterana il "quanto basta" può essere anche un KG!!!!!!!!!!!!! no dico: un pò più di precisione...non si può?
vabbè, comunque ho avuto per l'ennesima volta, la prova di come la cucina sia una cosa meravigliosa: mescolare gli ingredienti, vederli insieme in un unico impasto (che nella cottura si trasforma in chissà cosa), guardarlo crescere nel forno è un pò come aspettare Babbo Natale.
Ho deciso per la prima volta di postarvi la ricetta per un totale circa di 30 biscotti.
Speriamo che a voi riescano col buco....


Ciambelle (biscotti) al vino
4 uova
mezzo litro di vino bianco
mezzo kg di zucchero
mezzo litro di olio di semi
2 bustine di lievito
400 gr di farina

Mescolate il tutto, dopo aver sbattuto separatamente le uova. Potete cospargere le ciambelle con zucchero semolato prima di metterle in forno.
Io uso la carta forno. Altri il tradizionale burro + farina per ungere le teglie.


giovedì 5 giugno 2008

Monsieur "Lo Porco" a Capestrano


Gita domenicale fuori porta: stavolta, oggetto della scoperta è stato un piccolo borgo abruzzese in cui si teneva "Medievalia", manifestazione godereccia nella provincia aquilana.
Paese di circa 900 abitanti (850 secondo la stima di una simpatica signora autoctona), Capestrano è situato nell'alta valle del Tirino e si caratterizza per alcune produzioni tipiche (zafferano, uva, mandorle, olive, ortaggi, cereali).
Nonostante il tempo non fosse invitante, piena di speranze, ho deciso di farmi assorbire comunque dallo spirito rievocativo.
Il carattere locale della manifestazione (ed il meteo), mi ha reso ancora più personale la visita.
Sotto la pioggia il paese era stato comunque allestito: ad ogni angolo del percorso, antichi strumenti da lavoro attendevano di essere usati e sotto gli archi gruppi di suonatori e giocolieri intrattenevano il pubblico.
La bellezza del luogo è fiorita all'improvviso quando la pioggia ha smesso di cadere, gli antichi strumenti hanno cominciato ad essere usati e molti abitanti, vestiti in abiti trecenteschi, hanno riempito le strade in salita del paese.
Anche il ristoro è stato preparato con cura: menù a base di fagioli, pancetta (non porchetta!), pecorino (meraviglioso) accompagnato da vino rosso.
In perfetto stile rievocativo poi, bando alle posate (fatta esclusione per il cucchiaio di legno utile a mangiare i fagioli): un pomeriggio alla scoperta di un angolo sconosciuto d'Abruzzo.












lunedì 2 giugno 2008

Buon compleanno, BLOG!

Alcuni ritengono che festeggiare in anticipo un compleanno sia di cattivo augurio, ma credo che questo valga per persone e animali, non per le cose.
Così in un giorno uggioso, uguale a tanti altri in cui mi sembra di aver dimenticato persino come sia fatto il sole, mi viene in mente che fare una torta sarebbe un ottimo antidoto contro il grigiore circostante e soprattutto...potrei festeggiare il MESIVERSARIO del mio blog! non è che avessi in mente una torta in particolare, semplicemente avevo stampate le decorazioni che avrei fatto su: cucinare in estate ha il vantaggio di poter arricchire di fiori il cibo e la tavola con lo svantaggio di cucinare a temperature talvolta proibitive, ma chi l'ha dura, la vince, no?
premetto di non cucinare mai dolci, forse perchè in cuor mio, culinariamente parlando, li trovo frivoli o semplicemente mi sembra che alla loro riuscita concorrano troppi fattori "esterni" .
La verità è che, lo ammetto, preparare dolci è una vera e propria filosofia di cucina che non sento vicina.
Comunque ogni tanto mi cimento con dolci semplici e il risultato di oggi è questo: una torta classica allo yogurt e cacao.


P.S. è gia finita...

martedì 27 maggio 2008

Just like pasta e fazoo, that's Amore!



Oggi sono in vena di confidenze. Sarà che sento l’estate arrivare e la voglia di stare bene.
Così stamattina ho deciso che avrei festeggiato con…il mio piatto preferito: pasta e fagioli.
Lo so che anche stavolta, si obietterà sul fatto che spesso cucino senza badare alle stagioni, ma vi assicuro che questo è vero solo per piatti “invernali” preparati in estate ( i piatti freddi in inverno sono una cacofonia!) e tengo invece piuttosto presente la stagionalità dei prodotti.
Adoro le minestre, i passati di verdure, le vellutate perché si mangiano col cucchiaio (se dovessi
scegliere una posata, è quella che preferisco quando non è permesso l’uso delle mani) e poi perché si può arricchirli di gustosi crostini.
Cucinare minestre restituisce alle donne l’anima stregona che le caratterizza: in grosse pentole si mescolano ingredienti con cucchiai di legno che assorbono i sapori e ne restituiscono altri.

Just like SAGNE e fazoo, that's Amore!



La pasta e fagioli profuma di mia nonna che la cucinava spesso, stendendo a mano la pasta.
Con una manualità quasi certosina, preparava quelle che nel mio dialetto si chiamano “sagne”: rettangoli piuttosto grossi da cuocere insieme ai fagioli, in modo da regalare loro l’amido che rende questa una vera, densa minestra.
Mia nonna appartiene a quella tradizione culinaria contadina che grandi chef cercano di recuperare e riadattare, ma che poche volte ho potuto riassaporare girovagando per ristoranti.
L’odore del suo soffritto è tra gli odori che fanno parte del mio personale “data base” gastronomico, perché nessuno usa più lo strutto per imbiondire la cipolla, per lasciarla soffriggere nel tepore di un letto di grasso, lo stesso grasso che conferisce alla minestra una nota caratteristica e distintiva.
E quando tra i fagioli trovava posto anche qualche “resto” di prosciutto…allora la sinfonia era davvero completa!
Non si può certo dire che io sia cresciuta con piatti ipocalorici, ma vi assicuro che quella tradizione mi ha condizionato piacevolmente e arricchito notevolmente la vita.
Così, ogni volta che preparo la pasta e fagioli è come se festeggiassi mia nonna che mi ha insegnato, inconsapevolmente e dolcemente ad essere come sono.

giovedì 22 maggio 2008

A casa di Vale. Psicologia del frigo.


Alle volte fantastico su come sarebbe bello poter entrare nelle case di sconosciuti e delinearne un profilo spicciolo solo aprendo il frigorifero.
So che la mia affermazione non rappresenta una novità: che dal frigo si possano conoscere le abitudini (non solo quelle alimentari) di una persona, è forse stra-noto.
Questo weekend, oltre che a Spello, ho fatto visita a casa di Vale, il quale ha sapientemente allestito una cena x 10 nel terrazzo di una Roma non ancora inondata dalla pioggia.
Così ho deciso, tra un bicchiere di Montepulciano e l'altro, che avrei inaugurato una nuova etichetta "Caffè nel frigo", con cui firmare i post di serate casalinghe (e che spesso si rivelano le migliori).
Dunque...dunque: se voi conosceste un minimo Vale, sapreste per certo che il frigo è semplicemente "acchittato" per la serata: quelli che vedete nel secondo ripiano sono infatti gli involtini già pronti (???????....evvabbè, ogni tanto vanno bene anche quelli del macellaio!) serviti a seguire di una simpatica cacio&pepe.
Nel primo ripiano, troneggia un salame (per le serate tristi, quando non hai voglia di cucinare), cipolle come se piovessero, zucchine (che servono sempre, regine delle grandi trasformazioni) e...
dulcis in fundo...la pancetta (che mi dicono, non manchi mai).
Non potendo partecipare al gioco poichè conosco Vale, vi lancio la sfida:
Chi è Vale? e soprattutto...cosa contengono i sacchetti del terzo ripiano?



mercoledì 21 maggio 2008

7mila caffè

Spesso capita che la pigrizia abbia la meglio sul partire: sono felice di aver deciso invece di dedicare lo scorso weekend alla mia passione.
Spello si è rivelata un luogo quasi incantato: a ridosso del Monte Subasio, ricca di una certa romanità che personalmente apprezzo, una cittadina ospitale, fresca e soprattutto....piena di fiori. (A proposito domenica prossima là c'è "L'infiorata" e tutte le strade si vestono di fiori).
Il Festival del Caffè ha sicuramente risentito dell'essere appena nato, pochi gli stand, ma interessanti le iniziative.
La splendida cornice della manifestazione è un luogo da visitare: Villa Fidelia è circondata da un giardino in cui sorseggiare un caffè è una esperienza non solo per il gusto, ma per tutti i sensi.
Macchine da caffè di inizio secolo sono state oggetto di una mostra attraverso cui ripercorrere idealmente il mutamento del gusto italiano legato al caffè, al design e alla tecnica di produzione di questa magica pozione (quella che vedete ne è un esempio).
quanti caffè ho bevuto? forse più di quanti riusciate a contarne nella foto in basso.


venerdì 16 maggio 2008

Vi offro un caffè...a Spello


So che non mi perdonerete mai (forse sì, visto che i lettori di questo blog sono pochi ma buoni) per l'assenza tanto prolungata.
E' che, diciamo così, ho assunto una quantità di caffeina (metafora per dire che sono stata un tantino nervosa), che ho preferito attendere qualche giorno per smaltirla e scrivere.
Quello di oggi è un appuntamento: ho scoperto che in questo weekend, a Spello (PG), c'è il primo CAFfèstival, una simpatica manifestazione sul.......CAFFE'!!!!!!!!
e che si fa...si può mancare?


vi lascio il link e se siete in zona, ci si becca lì.



www.caffestival.com



martedì 6 maggio 2008

Unti e Bisunti


Per fortuna che in tempi economicamente tristi, si riesca comunque a cenare allegramente fuori casa con un pò di amici carnivori. Oddio, c'è da dire che i suddetti amici devono avere nel proprio diennea una certa capacità di adattamento ed appartenere alla categoria "l'abito non fa il monaco" (oppure di contro, pensare che il vintage faccia chic) per accompagnarvi in un luogo mangereccio che appartiene ad una Roma che (evviva!) esiste ancora.
Dal Quagliaro non si capita per caso, si sceglie di andare.
Come è facilmente intuibile, il piatto forte è costituito da quaglie arrosto nel forno a legna, servite con degli sfiziosi funghetti grigliati e sfumati (col vino?con un vino che è aceto?boh!ma che c'importa?) e olive nere. Dato che i gustosi animaletti sono un pò miseri, si servono con una bella ciriola (panino tipico laziale-romano) tagliata in due, sulla quale.....sinfonia del colesterolo.....si trova uno strato di unto (grasso delle quaglie?).
Poichè mi piace l'idea che sperimentiate con i vostri occhi, la foto del piatto verrà sostituita con quella dell'ancora funzionante frigorifero presente nel locale.
Non è meraviglioso?

lunedì 28 aprile 2008

Che cos'è un nome? Una rosa...



Che meraviglia la regionalità! ponte del 25 in Costiera.
Ho apprezzato nuovamente le bellezze del Sud e non parlo solo di quelle culinarie, anche se la foto pubblicata testimonierebbe il contrario.
Giovedì appena arrivata credevo di essere stata catapultata in Grecia senza la fatica del traghetto: mojito meraviglioso in un locale dove ho lasciato il cuore, venerdì e sabato a godermi il sole campano.
Cosa scopro?
che da quelle parti un saltimbocca non è esattamente un saltimbocca...mi spiego meglio.
Nel Lazio quando si parla di saltimbocca, si intende un involtino di carne ripieno, mentre in Campania per gustare un saltimbocca, non sono necessarie forchetta e coltello perchè quello che vi viene servito è un panino fatto di pasta di pizza che va farcito secondo i propri gusti.
Il mio, per dovere di cronaca e obbligo di cucina, è stato farcito con cotto, pachino conditi con origano, olio e sale e infine formaggio.



domenica 20 aprile 2008

Tanti saluti all'inverno


Oggi vado in controtendenza: fuori è primavera ma io ho voglia di sperimentare un caffè…che sa di inverno.
Mentre gusto il pranzo domenicale (e tradizionale), penso agli aromi che nel mio immaginario sensoriale appartengono a quella stagione (possiamo dire sia passata o tornerà presto? Boh!intanto salutiamolo così).
L’inverno profuma di cannella, chiodi di garofano e arancia. Sa di crema pasticcera e biscotti al cioccolato.
E il caffè è perfetto con tutti questi aromi. Onde evitare però di “mettere troppa carne al fuoco”, decido di lasciar fuori crema e cioccolato.
Pranzo terminato.
Preparo la miscela direttamente dalla moka: uno strato di caffè, metàdellametà di un cucchiaino di cannella, altro caffè e un chiodo di garofano. Chiudo,accendo e attendo.
Che brivido, l’attesa! L’aria si riempie di cannella, ma nessuno lo sa: nessuno dei miei commensali immagina che tra poco berrà via in un caffè la stagione fredda.
Adesso mi arriva al naso anche il chiodo di garofano…leggero, quasi impercettibile, fuso e insieme distinto dall’amica cannella.
Giro, verso nella mia tazzina (gli altri preferiscono il vetro: profani! ed io che continuo a sedermi a tavola con loro…sono troooooppo tollerante) e ne rubo gli aromi.
Se ne accorgeranno? Li osservo. Come fanno a non sentire l’ inverno?
Forse si lasciano confondere dai raggi di sole che filtrano dalla finestra. Ecco…solo uno di loro mi chiede confuso: “ma che c’è in questo caffè?”. S’ illumina quando glielo rivelo e aggiunge che un po’ meno cannella avrebbe giovato alla miscela, addolcendo il retrogusto amaro della cannella quasi tostata. Ci penso su: ognuno ha il suo inverno e senza quel retrogusto il mio non avrebbe avuto in sé l’ odore acre del fumo dei camini.

venerdì 18 aprile 2008

Buono come il pane?


Ok. Lo ammetto. Mai fatto il pane. Eppure mi piace. Voglio dire, non tanto quanto il caffè..ma la versatilità del pane mi ha sempre intrigato. Esiste un altro alimento con la medesima caratteristica? Mi sa di no.
Così oggi che ho voglia di casa e di calore, sì, mi faccio il pane. Ho letto parecchie ricette e curiosità (lo sapevate che quello di Genzano è il primo IGP?), ma l'idea di stare là con le dosi non mi sconfinfera, quindi diciamo che ho preso 500 gr di farina (400 circa tipo"00", la restante parte gialla da polenta), un cubetto di lievito, acqua tiepida in cui scioglierlo, sale e olio.
Impasto per una ventina di minuti e lo adagio in un recipiente unto di extravergine, coprendolo come se avesse l'influenza.
Ora attendo. Il pane è quasi un parto (sarà per questo che si usa il lievito "madre"?). Diverso in questo dai dolci che lievitano ma al calduccio del forno, il pane necessita, diciamo così, di almeno un paio di ecografie: cioè va reimpastato dopo una prima lievitazione.
Dunque, considerando i tempi, per le 10 di questa sera vedremo la signora Pagnotta e i suoi figli Panini.
Nell'attesa...le foto di un vero pane.

(Dalla Festa del pane di Bressanone)

domenica 13 aprile 2008

Mele da favola


Quando c'è il sole la domenica è il giorno più bello del mondo: puoi far tutto e non far nulla.
Stare in pigiama tuttto il giorno e tenere il sole dentro o goderti fuori quel sole, vestito leggero.
A me la domenica ispira ricordi...così oggi ho aggiunto una foto scattata quasi un anno fa in un paesino veneto dove si rievocava il Medioevo. Avete presente "Non ci resta che piangere"?
ecco...all'improvviso, catapultata nel 1400, quasi 1500!
non so se a quei tempi i bambini mangiassero mele anzichè caramelle, ma io ricordo la sensazione fiabesca che mi ha pervaso vedendole ed il desiderio di acquistarne una è stato più forte di me.
Per me il cibo è indissolubilmente legato all'infanzia: un gioco da fare con le mani senza paura di sporcarsi.

sabato 12 aprile 2008

Vini e piccola cucina


Ci sono serate in cui la voglia e la necessità di uscire di casa contrastano tra di loro ed è quando la seconda ha la meglio sulla prima, che ti conduci quasi involontariamente in posti come L'Osteria di Corrado.
Il breve tempo impiegato per arrivarci potrebbe dilatarsi, tanto in realtà non hai neppure la percezione di essere mai uscito di casa. Perchè ti trovi a casa.
Nel piccolo laboratorio (attenzione: quella è una piccola cucina che produce grandi cose!) scopri un Mago ed il suo Assistente concentrati a miscelare pozioni, assaggiare, bere in accompagnamento, sperimentare, sorridere. Forse è questo il segreto che il Mago non rivela: lavorare col sorriso dentro.
E i piatti che da quelle sperimentazioni prendono forma , hanno nel sorriso l'ingrediente segreto: piccoli capolavori della cucina tradizionale, spesso rivisitati che narrano l'impegno, la passione e la cura.
Ti racconta storie di vini, si diverte ad incantare il Mago e t'illude senza volerlo, di essere nella tua casa, mentre lui cucina per te o semplicemente ti serve vino...ci sono luoghi dove il cuore lo lasci senza volerlo e puoi tornare a prenderlo indietro quando vuoi, perchè quell'alchimia è infinita....

giovedì 10 aprile 2008

Il mio: a ME MI piace così...

Chissà che senso ha per voi il caffè. Oggi mi chiedo questo e mentre ci rifletto su non mi accorgo che faccio solo un elenco di quello che per me significa il caffè.
Badate bene, non che io conosca tutte le virtù o le varietà del caffè: non sono un'esperta, so di certo che dentro c'è caffeina, che può essere un blend di miscele, tostato o meno, che c'è l'arabica (come nelle gomme?), che alcuni sanno più di cioccolato, di nocciola...ma per me deve essere solocaffè. Non sopporto che, ordinando un caffè al bar, mi si chieda "normale (o liscio)?", in vetro?"
Ecco..se avessi voluto tutto questo, l'avrei chiesto. E non è tanto la fatica di precisare ogni volta, quanto il dispiacere che non sia chiaro che sul caffè le mie idee soono chiare. Che bisogno c'è di arricchire un concetto tanto semplice quanto una tazzina e un caffè. Troppo banale?
per fortuna sono innamorata (corrisposta) della moka.

mercoledì 9 aprile 2008

Gioco


E sono al quarto!
dopo il tentativo che vedete...sorseggio un caffè.
che dire? avevo cominciato cucinando per questa sera (sono ospite dal mio super amico) e mi fa piacere dilettarmi ai fornelli: vellutata di broccoli e spinaci con cuore (eh, sì...la cucina è questione di cuore) di carotine croccanti e crostini al parmigiano, polpettine di maiale al sesamo, quando....illuminazione!!!!!
preparo le basi e assemblo dal pout-pourry di ingredienti un simpatico esempio di finger food.
Rubo dal cassetto la digitale e compongo il piatto.
Di foto ne ho fatta una sola: la curiosità di assaggiare la polpettina era troppo forte!
nelle polpette ci ho infilato scorza di limone e cannella: se mi sentisse mia nonna....

chicco e tazzina

Avrei potuto cominciare raccontando la favola di Chicco e Tazzina ma rimando, oggi non mi va.
Ciò di cui ho voglia è sentire l'aroma del caffè che entra nella stanza, quando ancora gli occhi non sono aperti, ma lo sono gli altri sensi, vigili, e la caffeina sembra entrarti dentro, dal naso, come fosse una pozione magica, l'essenza del risveglio.
Che faccio.... mi preparo il terzo?