mercoledì 19 giugno 2013

Salut e bezi e teimp da spàndri! (Il mio augurio all'Emilia Romagna)


San Martino Spino è una frazione di Mirandola, nella bassa modenese.
Ci arrivo percorrendo la SP7, il cui unico confine visivo alterna un coraggioso verde ad un timido dorato: campi di mais e grano si fanno pacifica compagnia.
E' una domenica assolata e qui la gente ha voglia di raccontare il proprio coraggio senza alcun eroismo, ma attraverso la tradizione: ad un anno dal terremoto e a più di un mese da una pesante tromba d'aria, San Martino testimonia la voglia di rialzarsi, tratto davvero distintivo dell'Emilia, con "la gara dla sfoglia". Da ogni parte echeggia un dialetto che mi diverte, che mangia le vocali e suona come suonano le parole dette a bocca piena. 
La premiazione delle sfogline vede trionfare, tra rezdore storiche, una giovane donna bionda a cui viene consegnato il mattarello più lungo.
Ogni rezdora ha il suo grembiule spesso ereditato dalle precedenti generazioni e braccia e mani antiche di lavoro.
Come la tradizione vuole, la donna, in luoghi come questo dove la terra, oltre che tremare, è quella stessa che dà da vivere, ricopre un ruolo fondamentale.
Sui tavoli sociali, prima ancora del cibo, campeggiano immancabili bottiglie di Lambròsch e Pignulèt.
Quando il cibo ed il vino mi danno tregua, guardo i volti delle persone che mi sono intorno: appena seduta, vedo allungarsi la mano di Alessandro che di là a poco mi racconta, con gli occhi di un azzurro lucido come il cielo, di quanto sia stato difficile quest'anno ma di quanta voglia ci sia di tornare a vivere senza la paura che ti venga sottratto in un attimo il frutto del tuo lavoro.
Ho appena accantonato il gusto perfetto del ragù e quello pungente della cipolla nei fagioli, che arrivano in tavola i dolci: trionfa il belsòn, un biscottone ovale, morbido ma friabile che profuma ancora di limone e che va inzuppato (nel vino, è chiaro). 
Intorno sorrisi che sanno di festa ed entusiasmo: colpisce quanto operoso possa essere un Paese devastato e quanto poco sia rimasto delle macerie, simbolo del desiderio vero di ricostruzione perché non lasciare macerie non vuol dire dimenticare, ma vuol dire in primis non abbandonare la speranza.
E qui la speranza ha già preso il posto della volontà.









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