venerdì 11 novembre 2016

La tarda maturità di un Montepulciano





“Il Montepulciano è un vitigno che matura in ritardo”. Lo sento dire da Marina Cvetic durante la degustazione e sorrido. Penso ai miei 40, a questi anni che dovrebbero coincidere con una maturazione simile a quella degli acini di un vitigno che ben rappresenta metà della mia vita.

Penso alle mie origini, ai sentori per cui nelle annate proposte, mi pare di essere catapultata dentro un bagaglio pesante, strapieno di ricordi che nel tempo hanno reso il Montepulciano un vino troppo legato ad un vissuto che, sebbene presente, per anni ho messo in stand by.

Liquirizia, china, amarena del Riserva Marina Cvetic 2013 per primi mi hanno fatto allontanare dallo sceglierlo in carta ogni qual volta mi si presentasse l’occasione, dopo.

Erano sentori quelli, troppo legati ad una tarda adolescenza di serate montanare con gli amici, quando il freddo ti congelava tutto il corpo, ma non i pensieri, sempre troppo veloci e desiderosi di essere altrove.

Gli stessi, si fanno più condizionanti nel Villa Gemma che mi ricorda perché ho smesso di bere Montepulciano per tanto tempo: nella 2007 e nella 2001, c’è esattamente la Regione da cui provengo.
C’è tutto l’Abruzzo dentro.
C’è il gusto di un vino pieno, duro, difficile con qualche nota di chiodo di garofano che mi allontana: mattine di nebbia, acqua fredda sulla faccia prima di andare a scuola, quando il buio ed il gelo di fuori non ti preparano ad affrontare giornate di studio.
Il Villa Gemma è il ricordo di un nonno non abituato alla dolcezza, con lo sguardo burbero rivolto a te, che sei nata femmina. E quindi quasi inutile.

È con l’Iskra 2009 che mi riconcilio con il Montepulciano. Iskra vuol dire “scintilla”. Sarà per questo che, solo avvicinando il naso al bicchiere, sento qualcosa accendersi.
Dentro c’è il profumo di fieno secco delle gabbie dei conigli allevati dalla zia: ricordi di giochi felici, campi e merende di campagna.
Mi rivedo scendere le scale poco illuminate della cantina, impaurita ma felicemente curiosa - come solo una bambina può esserlo - quando avvicino il bicchiere del Vigna Sant’Angelo Valori 2010: odore di muro bagnato e umido. Quasi di muffa.

Nella Botte di Gianni 2013, appena 900 bottiglie prodotte, mi ritrovo. Qui incontro le origini davvero. Qui mi imbatto negli uomini abruzzesi che riconosco: schivi ma generosi. Testardi, giovani e forti nella 2013, diventati saggi anziani nella 2010.

E nel bere ogni vino mi pare di fotografare la mia vita: ognuno è un momento differente di un unico percorso che sembra concludersi oggi, nel Riserva Marina Cvetic 2000.

“Quanta vita c’è in quel vino? Quanta me c’è in quel vino?”
Torno nel bicchiere più volte, a ritroso, come si fa con la memoria.
E mi sembra di ritrovare i profumi dei dolci, le bancarelle con le nocciole tostate con lo zucchero e la frutta matura di un vino quasi cotto che mi pare all'improvviso il mio Natale. 










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